Fino al 9 luglio la Galleria Gracis di Milano ospita la mostra Emilio Tadini tra Archeologia e Metafisica, un’esposizione speciale che consente di ammirare numerose opere che il grande pittore e scrittore poliedrico, scomparso nel 2002, ha realizzato all’inizio degli anni Settanta. Lavori straordinari nei quali emerge tutta la fascinazione di Tadini per le atmosfere metafisiche create da un maestro geniale come Giorgio de Chirico.
Le opere di Tadini alla Galleria Gracis
Nell’arco della sua lunga e brillante carriera artistica, Emilio Tadini ha indagato una molteplicità di tematiche, riunite solitamente in cicli, nella costante volontà di narrare la realtà a lui contemporanea. La mostra allestita presso la Galleria Gracis di Milano si concentra sul ciclo di opere raggruppate sotto il titolo di Archeologia e Archeologia con de Chirico, caratterizzate da visioni oniriche capaci di abbracciare il senso profondo del lavoro dechirichiano.
La metafisica è la via che Tadini segue per tracciare il suo percorso artistico, ed è lo strumento mediante il quale supera il dualismo tra realismo socialista e arte informale. Approda, così, a una nuova forma espressiva che gli consente di occuparsi della figura umana, in un momento in cui essa viene estromessa dal lavoro degli artisti.
Spazio allusivo e personaggi senza volto
La pittura di Tadini è fiabesca, di chiara matrice surrealista, e la sintesi che egli attua allo scadere degli anni Sessanta avviene proprio grazie all’adozione della chiave di lettura metafisica: la materia pittorica si alleggerisce, le immagini risultano meno affollate, i fondi si fanno chiari e spesso monocromi, suggerendo uno spazio più ideale che realistico.
Lo spazio si fa evanescente, multidimensionale. Uno spazio allusivo, una probabile “scena del crimine” in cui Tadini ci consegna elementi apparentemente slegati tra loro, la cui interconnessione diviene generatrice di una narrazione che, tuttavia, spetta solo al visitatore decodificare.
I personaggi dei suoi lavori agiscono in un contesto allusivo, sono figure ironiche, senza volto in quanto impenetrabili psicologicamente e con le quali l’artista ci impedisce di entrare in empatia. Tutto è ambiguo e tutto è possibile.
L’importanza di De Chirico
Lo stesso enigma ci coglie nell’atto della contemplazione delle muse di Giorgio de Chirico, rese inquietanti proprio dal loro mistero, dalla loro collocazione casuale in uno spazio, così desolato, da risultare irreale. Tadini stesso, allora, ribalta nelle sue opere queste posizioni casuali all’infinito, generando nuove inquietanti relazioni, tutte possibili ma nessuna certa. E coglie, citandolo in tutto il ciclo, un altro elemento dal lavoro dechirichiano, la maschera tribale, che racchiude dentro di sè il senso del collocarsi all’interno di una tradizione, in un percorso evolutivo coerente che dall’archeologia e dal classico, giunge fino a de Chirico come processo lineare.
Per questo motivo, in mostra alla Galleria Gracis, sono state inserite le maschere che hanno ispirato le opere di Tadini e che lo circondavano nel suo studio di Milano, per gentile prestito della Casa Museo Spazio Tadini.
L’espozione presenta anche una versione bronzea degli Archeologi di de Chirico, soggetto a cui l’artista dedicherà moltissime opere. L’archeologo come individuo che scavalca i tempi, ci viaggia attraverso, riattualizza il passato, ricollocando la storia nel presente. Egli recupera frammenti di una civiltà, estraniandoli dal contesto e riattualizzandoli. Allo stesso modo agisce Tadini, che attua un recupero delle simbologie di de Chirico portandole al tempo presente, riscoprendo la storia e collocandola hic et nunc.
Chi era Emilio Tadini
Nato a Milano nel 1927, Tadini consegue la laurea in Lettere e si distingue presto tra le voci più vive del dibattito culturale del secondo dopoguerra. Nel 1947 esordisce su Il Politecnico di Elio Vittorini, a cui farà seguito un’intensa attività critica e teorica sull’arte. Nel 1963 viene pubblicato il suo primo romanzo Le armi l’amore, cui seguono nel 1980 L’opera, nel 1987 La lunga notte, nel 1991 L’insieme delle cose e nel 1993 La tempesta.
Dagli anni Cinquanta affianca il lavoro letterario all’esercizio della pittura, ed espone per la prima volta nel 1961 alla Galleria del Cavallino di Venezia, dove il pittore Tancredi Parmeggiani acquista una sua opera. Fin dagli esordi sviluppa il suo lavoro per cicli (Vita di Voltaire, L’uomo dell’organizzazione, Color & Co., Archeologia, Città italiane, Profughi).
Nel corso della sua carriera, Tadini sviluppa uno stile artistico unico che mescola elementi surrealisti, metafisici e una profonda riflessione sulla letteratura e la filosofia. Lo stile si caratterizza per la fusione di elementi figurativi e astratti, in cui le forme e le figure umane si mescolano in un universo simbolico carico di significato.
Mentre la pop art statunitense viene celebrata alla XXXII Biennale di Venezia del 1964, Tadini si rivolge alle formulazioni stilistico-narrative del pop britannico di Richard Hamilton, David Hockney, Eduardo Paolozzi e Ronald B. Kitaj. Fino alla metà degli anni Settanta formula un’originale versione del linguaggio pop, dove i contorni
sagomati e il colore disteso per superfici nette veicolano un simbolismo denso di riferimenti alla psicoanalisi freudiana.
Partecipa alle lezioni presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e frequenta ilbar Giamaica, crogiolo di intellettuali e artisti legandosi in profonda amicizia con i pittori Alfredo Chighine, Alik Cavaliere, Cesare Peverelli, con i fratelli Guido e Sandro Somarè e Valerio Adami, con il quale inaugurerà la prima mostra dello Studio Marconi nel 1965.
Sul finire del decennio diviene tra le voci più sensibili per il rinnovamento della pittura figurativa. In qualità di critico introduce l’operadi artisti a lui più affini in vari cataloghi. La costante riflessione sull’attualità delle avanguardie storiche ispira cicli centrali degli anni Settanta, dove elementi desunti dalla grafica pubblicitaria e dai fumetti convivono con l’ironica giustapposizione dell’objet trouvé di derivazione dada.
Al suprematismo Tadini dedica Paesaggio di Malevič (1971), mentre la metafisica dechirichiana è al centro di opere quali Archeologia (1972-1973), Ulisse & Co. (1973) e Magasins Réunis (1973). Nel 1978 Tadini espone alla Biennale di Venezia il grande ciclo intitolato Museo dell’uomo (1974), e nell’edizione del 1982 la serie Disordine di un corpo classico (1981), ciclo che inaugura una fase del suo lavoro caratterizzata dall’alterazione delle tradizionali forme del corpo umano.
Dal 1992 inizia un’intensa collaborazione con il Corriere della Sera come critico d’arte ed editorialista. Nel 1993 ottiene il premio Strega con La tempesta, romanzo intriso di riferimenti letterari estorico-artistici che ne segna la piena maturazione in senso espressionista.
Tadini è stato inoltre presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1997 al 2000. Muore a Milano il 25 settembre 2002. Nel 2008 il figlio Francesco Tadini e la giornalista Melina Scalise fondano l’associazione Spazio Tadini in suo omaggio, inglobando negli spazi della tipografia di famiglia, lo studio dell’artista. Nel 2015, Spazio Tadini diventa Casa Museo nel circuito Storie milanesi che raccoglie 15 luoghi della città dove hanno vissuto dei personaggi (artisti, scrittori,designer) che hanno dato un contributo artistico e culturale a Milano.
Informazioni
EMILIO TADINI
TRA ARCHEOLOGIA E METAFISICA
Fino al 9 luglio 2024
Galleria Gracis – Piazza Castello 16, Milano
Orari: lunedì-venerdì, 10-13 | 14-18, sabato solo su appuntamento
Ingresso libero